ANNO DOMINI 1260

 

Sono un nobile signore. Il mio nome è Manfredo del Carretto. Il mio feudo è piccolo, comprende i castelli di Dego, Cairo e Cortemilia. Le gabelle che impongo alle merci destinate ai porti liguri non mi permettono di vivere nel lusso a cui la mia famiglia era abituata. È stato mio nonno Ottone a dilapidare le nostre ricchezze vendendo i diritti signorili su Savona e Noli. E’ per questo che sono qui sul campo di battaglia, con la mia corazza, il mio cavallo roano, la lancia, la spada alcuni miei armigeri e i miei pensieri. Fra poco le truppe del libero comune di Alessandria ci attaccheranno e io difenderò terre non mie. Sono passato da un campo all’altro in questi anni per poter mantenere i miei diritti e ho combattuto molte battaglie. Si sono un mercenario, ma sono stato sempre dalla parte dell’imperatore e combatto sotto le insegne ghibelline. Ho paura, sudo molto e il sudore inzuppa la maglia che indosso sotto la cotta, e penso che tutto potrebbe finire in un attimo. Il mio braccio è vigoroso, il mio corpo possente, le mie gambe scattanti, il mio cavallo mi ha sempre seguito in battaglia e non commette errori in combattimento. Ma la paura non mi abbandona. Paura del dolore, del sangue, paura di vedere le mie viscere, come serpenti, uscire dal mio corpo, paura di vedere le mie mani che tamponano ferite, paura che la mia testa rotoli sul campo di battaglia. La paura è una parte di me. Ho vicino altri cavalieri, sembrano sereni, credo che non abbiano paura. Invece io ho paura di perdere il ricordo di mia madre e le sue parole che mi accompagnavano di sera per farmi addormentare, i canti dei menestrelli durante i pranzi di corte, i miei primi innamoramenti. Io Manfredo ho cavalcato per piacere, per cacciare con cavalieri arditi, e il mio vestire bellissimo colorava boschi e campagne, così come la mia cavalcata piena di maestria come si conviene ad un nobiluomo. Capite nobili signori perché ho paura? Sono sempre stato diverso dagli altri uomini d’armi. Loro pensano solo al campo di battaglia, alla gloria, al vessillo issato sul torrione del castello conquistato, al rumore sordo delle lame che si incontrano, al sangue, ai contadini sgozzati, all’amore frettoloso e volgare con donne incontrate nelle campagne e violentate, o dame prese con forza con ancora la cotta addosso. No, sono diverso. Ho avuto un maestro di nome Rambaudo, mi ha insegnato a leggere testi antichi, ho ascoltato il suo poetare, il suo cantare composizioni di guerra ma anche d’amore, mi ha insegnato la poesia provenzale, mi ha parlato di terre lontane, mi ha insegnato ad amare il mare, con Lui ho cavalcato e ho imparato ad usare la spada. Perderò questo ricordo se una freccia, o una lancia, o una clava offenderanno il mio corpo. Il cavaliere al mio fianco si toglie l’elmo e beve dalla fiasca, il vino si mescola con i suoi umori, ride sguaiatamente e ci ricorda che stasera avremo dame a disposizione. Se tutto andrà bene voglio solo ritornare al castello di Olmo Gentile e vedere il volto della persona che amo. Si chiama Matilde ed è nata da un ramo cadetto della nostra famiglia, ha capelli biondi e gli occhi azzurri. Quando la guardo i suoi occhi sorridono, anche Lei ama la vita, il canto, la poesia ma anche i banchetti, la cacciagione, gli intingoli, le erbe dell’orto, i dolci, il vino. Lo stendardo sulla mia lancia l’ha legato prima della mia partenza. E’ rosso con un cerchio azzurro che racchiude un liocorno. La porterò sulle mura del castello a vedere le alte colline che circondano il cono su cui sorge il borgo e il maniero, le racconterò di come sono stato bravo in battaglia e di come il suo pensiero mi ha salvato dalle frecce del nemico e così assaggerò i suoi baci e le sue voglie d’amore, sentirò il fremere dei suoi sensi crescere e travolgere i miei pensieri e diventerò l’amante più felice della terra. Mentre questi pensieri mi avviluppano sento il grido di battaglia e le urla dei cavalieri. Lancio il cavallo al galoppo giù dalla collina, la mia picca si infila nello stomaco di un fante che voleva tagliare i tendini al mio animale, con la spada riesco a ferire un cavaliere che mi ha affiancato, sono circondato dal frastuono, dal puzzo della battaglia, dal rumore delle corazze, dalle urla dei feriti, getto a terra due armigeri, ma la freccia di una balestra colpisce il fianco del mio cavallo che si imbizzarrisce, quasi vengo disarcionato, gira in tondo poi si lancia verso le picche dei cavalieri nemici. Una lancia mi colpisce un fianco e vengo disarcionato. Forse sto morendo, vedo masse confuse, il dolore è insopportabile. Il sangue bagna il terreno. Un cavallo sta galoppando verso il mio corpo riverso. Lo percepisco dalla massa scura che avanza. O forse è la morte che sta arrivando. Adesso capite perché avevo paura. Sono l’unico cavaliere che in battaglia ha paura. Anzi che aveva paura. Non sento più dolore, la paura mi ha abbandonato, mi rimangono i pensieri d’amore per la mia dama, per le mie terre, per l’odore del fieno, per le nuvole in cielo, per le stelle, per il colore dei papaveri e dei fiordalisi, per i grappoli d’uva, per il vino. Dove andrò non ci sarà più la paura, la fame, le guerre. Solo il sorriso della mia Matilde. Sono un nobile signore, il mio nome è Manfredo del Carretto. Torino 5 maggio 2014

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                      Paolo Uccello: La battaglia di san Romano

4 pensieri su “ANNO DOMINI 1260

    • Cara Amica, ho scritto questo racconto pensando a un lato dei cavalieri mediovali che quasi mai viene messo in evidenza, cioè la paura. Eppure la paura ha permesso all’uomo di affermarsi sulla terra.Grazie

      • Infatti, se non avessimo la paura, il limite tra vita e morte sarebbe troppo sottile e facile da superare; l’estinzione sarebbe un battito d’ali.

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